Il Paese
La Storia di Carpignano Sesia
La Romanità e il periodo Tardo - Antico
Interessato dal corso del Ticino e della Sesia, oltre che da quello di diversi torrenti di minore importanza (l'Agogna e il Terdoppio), il territorio novarese fu abitato stabilmente in epoca molto antica, quando si avviò una continuità insediativa già col Paleolitico (da 110.000 anni a.C.), che sarebbe durata attraverso le diverse epoche della preistoria fino all'Età del Ferro con la civiltà di Golasecca nelle sue varie fasi, proseguendo poi attraverso i secoli della presenza gallica, quindi di quella romana.
Del celtismo nella nostra zona è testimonianza notevole il sito di San Bernardino di Briona, con i resti di una necropoli e soprattutto un'epigrafe in alfabeto lepontico forse del I secolo a.C.
La romanizzazione della Valle Padana, o Gallia Cisalpina, avviatasi dall'ultimo quarto del III secolo a.C. dopo la seconda guerra punica, conobbe una fase particolarmente intensa a partire dal I secolo a.C. Se nel territorio tra Novara e il Ticino sono state riconosciute evidenti tracce della centuriazione, ossia della sistemazione e delimitazione del suolo agricolo attuata dai colonizzatori romani secondo moduli ricorrenti di centuriae (quadrati di circa 710 metri dilato, a loro volta suddivisi in quadrati di minor estensione), anche nell'area fra la collina del Medio Novarese e il corso della Sesia la romanizzazione mostra ancor oggi segni non trascurabili.
Lungo le due rive del fiume salivano verso le pendici alpine due strade parallele, tra cui (sulla riva sinistra) quella che dal Medioevo sarebbe stata denominata Biandrina, da Biandrate (e forse da Vercelli) a Romagnano.
Da Novara un'altra strada attraversava le pianure a nord della città, raggiungeva l'estremità meridionale delle colline, quindi le costeggiava sul loro versante occidentale, spingendosi anch'essa a Romagnano e, di là, alla Valsesia.
Il cuneo di territorio compreso tra la Sesia e le colline, a sud di Romagnano, era dunque delimitato e servito da due strade localmente importanti.
La presenza della civiltà romana è testimoniata lungo la riva sinistra del fiume da diversi sepolcreti e da epigrafi (a Biandrate, a San Nazzaro Sesia, a Sillavengo).
Il toponimo attuale Carpignano discende dalla forma Calpinianum documentata a metà del secolo X.
Ignoriamo quale fosse la forma storicamente precedente, tuttavia la desinenza -anum è chiaramente indicativa dell'origine romana di tale denominazione: essa, infatti, appartiene alla categoria dei più tipici prediali, cioè dei nomi locali indicanti l'esistenza di una più o meno vasta proprietà fondiaria compatta.
La radice onomastica che diede origine al prediale Calpinianum può essere stata quella del nome personale Calpinius, a sua volta derivato probabilmente dal nome gentilizio Calpius, il cui femminile Calpia è altrove attestato, oppure quella del nome personale Calvinius (o Calvenius): quest'ultimo, si noti, è attestato nell'epigrafe sul sarcofago di Aemilius Sabinianus figlio di Calvinius, al Museo Lapidario della Canonica di Novara.
Questa seconda ipotesi avvicina etimologicamente Carpignano a Calvignano (in provincia di Pavia), a Calvignasco (in provincia di Milano) e allo scomparso Calvignanum nei dintorni di Vercelli (per l'esattezza in territorio di Larizzate, presso l'attuale cascina Biscia), tutti dal personale latino Calvinius, più che non agli omonimi Carpignano Salentino (in provincia di Lecce) e Cura Carpignano (in provincia di Pavia), derivanti invece da un probabile personale Carpiniu.
Data l'attestazione del personale Calvinius nel Novarese, tuttavia, mi pare decisamente più accettabile assumere proprio questo nome come base per il nostro toponimo.
In passato, nell'ingenuo intento di nobilitare le origini del paese, si pensava di risalire (attraverso un non documentato Calpurnianum) alla romana gens Calpurnia, ricordando che attorno al 15 a.C. fu di passaggio nella Transpadana il proconsole Lucio Calpurnio Pisone Frugi, che presiedette un processo durante il quale intervenne come avvocato difensore l'oratore novarese Caio Albucio Silo.
Data la forte e organizzata presenza romana, nonché la posizione geografica relativamente favorevole agli scambi e alle attività economiche, la nostra zona tra collina e Sesia conobbe abbastanza presto il cristianesimo.
Pare da ritenersi autentica una lettera scritta dal vescovo Eusebio di Vercelli, in esilio a Scitopoli in Palestina, nella versione indirizzata a diverse comunità cristiane del Piemonte (Vercelli, Novara, Ivrea, Aosta, Tortona e Industria), fra le quali sono inseriti anche gli Agamini ad Palatium, ossia cristiani provenienti dal pagus Agaminus e stabilitisi presso un non identificato "palazzo" sede dell'amministrazione imperiale periferica.
La lettera eusebiana, documento fondamentale per ricostruire le vicende della prima diffusione del Vangelo nelle nostre terre, è dell'anno 356.
Novara solo dal 398 avrebbe avuto il suo primo vescovo, Gaudenzio.
L'evangelizzazione dovette procedere vero- similmente da Vercelli risalendo lungo le due rive della Sesia: al secolo IV può risalire il culto di san Vittore a Sizzano, mentre l'epigrafia attesta sicure presenze cristiane a Biandrate forse già nel medesimo secolo, a Sizzano con certezza nell'anno 519, nel secolo VI a Suno e a Naula di Serravalle", mentre alla prima metà del secolo V potrebbe risalire la chiesa della pieve di Santo Stefano di Lenta.
I secoli dal IV al X sono ancora avvolti nel più fitto buio.
Non possediamo infatti testimonianze né archeologiche né documentarie su Carpignano.
Se le prime invasioni germaniche nel III secolo d.C. dovettero interessare già la pianura padana, le nostre terre ricevettero certo impulso economico e sociale durante il periodo in cui Milano fu una delle capitali dell'impero (dal 286 al 402 d.C.), sede di un Augustus e di un vicarius Italiae, nonostante i turbamenti causati dalle guerre tra i diversi aspiranti alla dignità imperiale nel secolo IV.
Il diffuso benessere dell'Italia settentrionale in quei secoli è documentato dall'archeologia locale.
Oreficerie e ripostigli monetali databili tra il I e il III secolo d.C. si sono rinvenuti a Fara, Sizzano, Ghemme; dalla regione Sant'Eusebio di Carpignano proviene un gruppo di monete bronzee databili da Gallieno a Magnenzio (secoli 111-1V).
La testimonianza più preziosa del benessere raggiunto in quei tempi dall'agro novarese è tuttavia costituita dalla diatreta Trivulzio, una coppa in vetro traforato del secolo IV, opera di fabbricazione verosimilmente renana, rinvenuta nel 1675 tra Mandello e Castellazzo.
La prima discesa dei Visigoti di Alarico nel 402 determinò l'allontanamento della corte imperiale da Milano a Ravenna.
L'Italia padana fu da allora in poi preda di successive invasioni, tutte nel secolo V: gli Ostrogoti di Radagaiso e poi di Teodorico, gli Unni di Attila, i Burgundi di Gundobado.
La nostra zona dovette essere certamente interessata dalla presenza longobarda, a partire dalla fine del secolo VI, come prova la toponomastica: oltre al chiarissimo toponimo di Fara (lafara era un gruppo parentale longobardo che si spostava in armi), si incontrano infatti Morghengo, Agnellengo, Barengo, Sillavengo e Ghislarengo, tutte formazioni con la caratteristica desinenza germanica -ing, dallo stesso valore prediale della latina -anum.
L'area a est e sud di Carpignano costituisce la propaggine settentrionale di un vasto territorio che va dal Terdoppio alla Sesia, per diramarsi poi verso Biella e l'Alto Vercellese, nel quale sono frequenti i toponimi in -engo: si può pensare che tutto questo territorio sia stato oggetto di una seconda più o meno sistematica colonizzazione e organizzazione agraria in epoca longobarda o franca, cioè nei secoli VI-IX.
Indizi sicuri di uno stanziamento longobardo, riconducibile però a un momento successivo all'iniziale occupazione militare, sono ritenuti i toponirni derivati dalla voce auja, indicante un prato, spesso cinto di fossati o di siepi.
Nel territorio carpignanese va ricondotto a tale base Olgietum, di cui fa menzione una bolla di Lucio III del 1184 (di cui tratterò ampiamente più avanti), regione nota oggi come Urscett, nella quale sorgeva già allora la chiesa di Santa Maria ora detta di Lebbia.
Altro toponimo di matrice germanica è Scaffoggia, documentato alla metè del '500, situabile nella regione ancor oggi detta Goffardo.
Scaffoggia è riconducibile alla scapha, o skaffil, misura per aridi equivalente a 12 staia, applicata anche alle superfici agrariet. Anche Goffardo e il limitrofo Lamberi, sono genericamente attribuibili a una presenza longobarda, o in ogni caso germanica, quali nomi di primitivi possessori dei fondi.
La "Baraggia"
Indirizzo | Piazzale Italia
Il termine baraggia è molto usato nelle parlate dell'Italia padana, ad indicare più o meno vaste estensioni pianeggianti di terreno non coltivato e non dissodato: in questo senso si è anche fissato nella toponomastica, come nome di nuclei abitati sorti al centro di tali estensioni in conseguenza del loro dissodamento (ad esempio le frazioni di Baraggia di Suno, di Boca e di Gozzano).
Ogni villaggio aveva in passato aveva la sua baraggia, costituita dalle terre rimaste escluse dalla colonizzazione agricola per la loro distanza dal centro abitato o per le cattive condizioni del suolo.
All'origine del termine, vi possono essere il vocabolo preromano "bar" (rovo, spino) ed anche il gallico "barros" (sterpeto).
A Carpignano una zona denominata baraggia, situata entro la più vasta regione detta di Sant'Agata ad ovest della roggia Busca, è documentate dai secoli XVI - XVII; l'area era attraversata da una piccola roggia molinara derivata dalla Busca, che alimentava il mulino di Baraggia, andato distrutto per un'alluvione nel 1705.
La proprietà di gran parte dei suoi terreni, che era stata della chiesa di San Pietro in Castello, dipendende dal priorato di Castelletto Cervo, nel 1772 passò alla Mensa Vescovile di Biella e nel 1855 venen acquistata dal Comune di Carpignano Sesia.
La sistemazione urbanistica della baraggia, fino a quel momento zona periferica ad uso agricolo, si ebbe a fine '800 con la costruzione del lavatoio pubblico coperto e la trasformazione dell'area in ampio piazzale adibito periodicamente alle fiere del bestiame e dei prodotti agricoli.
Questa destinazione commerciale caratterizzò la baraggia fin oltre la metà del nostro secolo. Più recentemente, fino agli anni Settanta, il piazzale servì ad ospitare spettacoli ambulanti, soprattutto in occasione dell'annuale festa di Santa Croce, e come luogo di sosta per gruppi di nomadi di passaggio.
Nonostante la denominazione ufficiale dell'area sia stata dapprima quella di Piazzale della Fiera e poi quella di Piazzale Italia, i carpignanesi la conoscono ancora col nome antico di baraggia, legato ad una secolare storia agricola.
Torchio "Alla Latina" (Sec. XV)
Indirizzo | Via Castello (c/o Ricetto Medievale)
Buon motivo d'interesse per il Castello di Carpignano, anche se non al livello di carattere storico e artistico della Chiesa di San Pietro, è costituito dal torchio in legno, detto alla "latina", del 1573".
Naturalmente l'interesse per questo monumento è motivato dalla rustica bellezza dell'insieme della macchina e dall'ambiente che lo circonda, o meglio che lo ingioba; l'imponente torchio porta la data 1575 incisa sul grande tronco squadrato ma l'ambiente architettonico del complesso edilizio che lo contiene è quello tipico del XIV-XV secolo: il grande fascino è dovuto al miracoloso conservarsi della maggior parte delle strutture e degli elementi medioevali.
L'edificio che contiene il torchio è una tipica fusione di diverse cellule del ricetto, originariamente a due piani che sono state accorpate in tempi successivi: la parte bassa e interna è più antica e da riferire alla fine del XIV secolo mentre la parte alta, evidentemente sovrapposta in un secondo tempo è probabilmente più recente, come i corpi aggiunti verso est e verso ovest, databili alla metà del secolo XV.
Quando nel 1575 si inserì il torchio all'interno dell'edificio si demolì il muro a ovest della sua facciata e lo si ricostruì dopo la collocazione della macchina: il padiglione del torchio presenta numerose tracce di questo intervento come l'occlusione di porte e finestre, la demolizione di un solaio e la tecnica muraria del muro ricostruito, in spina di pesce, assai rozza.
Il torchio, anche se non costituisce una rarità, è singolare per la sua dimensione - 12 metri di lunghezza complessiva - per la sua purezza costruttiva e per la data di costruzione che lo porta a essere il più antico della provincia di Novara, Verbano e Ossola.
Fin dal Medioevo questa macchina era diffusissima tanto che ogni paese ne contava diversi, allestiti preferibilmente nei ricetti, nei monasteri e a volte anche nei castelli o palazzi signorili.
In genere i torchi di montagna erano bene comune della popolazione del borgo, ma in pianura erano quasi sempre di proprietà privata a volte costruiti da semplici, anche se benestanti, proprietari terrieri: nel castello di Carpignano, nel 1723, vi erano ben sei torchi "da olio e da vino" dei quali quattro situati nelle rustiche cantine poste dietro le absidi del San Pietro e probabilmente di proprietà del Priorato.
Un torchio di proprietà del monastero di San Pietro viene descritto nella "visita pastorale" del 1618: di questi quattro torchi si è persa ogni traccia.
Dei due torchi esistenti nella parte di ricetto comunitario è rimasto solo quello che oggi si può ammirare negli edifici recentemente acquistati dal Comune: questa grande macchina costituita da una enorme trave orizzontale di olmo sospesa su di un'incastellatura di rovere fu fatta costruire, quasi certamente, da messer Bernardino Ferrari, ricco possidente carpignanese.
In una copia di un atto notarile, datato 9 settembre 1624, si legge che il torchio e l'immobile che lo conteneva fu donato (non viene precisato l'anno) da Bernardino Ferrari al canonico e dottore in teologia don Gio. Francesco Pinzio.
Di Bernardino Ferrari si hanno notizie proprio nell'anno 1575 in quanto risulta essere consigliere ordinario della Credenza: non è azzardato ipotizzare che fu proprio Bernardo Ferrari, in quello stesso anno, a far costruire il gigantesco torchio nella sua cantina in castello.
Castello - Ricetto (Sec. XI)
Indirizzo | Via Castello (c/o Centro Storico)
Da piazza Marconi, che originariamente era l'unica via di accesso al castello, si entra nel Castello-Ricetto, il cui nucleo risale al secolo XI.
L'ingresso era un torrione anticamente munito di ponte levatoio.
A destra dell'ingresso si trova Via della Fossa, così detta per essere stata ricavata dal riempimento del fossato che cingeva il castello.
La via d'accesso (Via Castello), con la pavimentazione a ciottoli, ci conduce - lungo le tipiche case in mattoni e pietre della Sesia - all' edificio ove è conservato un importante esemplare di torchio a peso (anno 1575).
Si tratta del più antico esemplare di torchio conservato in Piemonte: è costituito da un tronco di olmo della lunghezza di 13 metri, utilizzato per la spremitura delle uve.
Gli altri locali dell'edificio del torchio custodiscono antichi attrezzi agricoli e strumenti per la vinificazione.
In questo edificio é di prossima realizzazione l'allestimento di un museo dedicato alla civiltà contadina.
Per il momento esso è visitabile soltanto durante la festa patronale (seconda domenica di settembre).
Sul lato destro della via si trovano brevi vicoli, che conducono al centro del ricetto: di particolare interesse sono le case quattrocentesche di Vicolo San Martino.
Proseguendo sulla Via Castello si giunge nella Piazzetta della Credenza, così detta perché vi sorgeva un edificio, ora demolito (appunto la Casa della Credenza), sede dell'assemblea comunale di Carpignano nel medioevo.
Tettoia (1905)
Indirizzo | Piazza Marconi
Proseguendo lungo lo stesso lato della piazza, si arriva nell'adiacente piazza Marconi, occupata da una costruzione in ferro battuto conosciuta dai carpignanesi con il nome di "Tettoia"; costruita all'inizio del secolo (1905) era sede del mercato dei bachi da seta, il cui allevamento era piuttosto diffuso presso le famiglie carpignanesi.
Durante la seconda guerra mondiale venne eliminata la cancellata di ferro battuto che la delimitava; il suo aspetto attuale risale al restauro degli anni 1982 - 83, con il quale venne eliminato il dislivello rispetto alla strada ed eseguita la pulitura della struttura metallica.
Chiesa di San Pietro (Sec. XI)
Indirizzo | Piazza G.Carducci (c/o Ricetto Medievale)
Fin dalla prima metà del secolo XI, secondo gli storici dell'architettura, era stata edificata nel castrum di Carpignano la chiesa dedicata a San Pietro, forse inizialmente come cappella castrense.
All'epoca di Innocenzo II, precisamente nel 1141, la chiesa passò ai monaci cluniacensi del priorato di Castelletto (nel Biellese, oggi Castelletto Cervo), certo per iniziativa diretta dei conti di Biandrate.
Tale situazione fu riconfermata dai papi Celestino II (tra 1143 e 1144), Anastasio IV (tra 1153 e 1154) e infine Lucio III nel 1184, che impose ai monaci di Castelletto il pagamento di un censo annuo di tre soldi milanesi sui beni di Carpignano.
Dalla bolla del 7 settembre 1184, emanata da papa Lucio III in Verona, apprendiamo che i cluniacensi in Carpignano possedevano non solo la chiesa di San Pietro nel castello e le sue pertinenze, bensì anche la chiesa ubicata nel villaggio (ecclesiam eiusdem oppidi: la futura parrocchiale di Santa Maria), la chiesa di Santa Maria di Lebbia lungo la strada Biandrina (denominata allora ecclesia sancte Marie de Olgieto) e infine la chiesa di Sant'Agata sulla strada conducente al guado della Sesia (ecclesia sancte Agathe de Messa), nonché alcuni mansi, ossia aziende agricole con servi.
La vita religiosa e quella economica del paese erano dunque in massima parte sotto il controllo dei priori di Castelletto.
La proprietà fondiaria della casa monastica nel nostro paese assommava ancora in età moderna a oltre 2650 pertiche novaresi. Proprio il sacerdote che officiava in San Pietro di Carpignano, nominato dai priori cluniacensi, dovette essere stato vincolato nel 1177 da papa Alessandro III all'obbedienza verso il vescovo novarese Bonifacio, dalla quale si riteneva prosciolto in virtù del versamento del censo alla sede apostolica.
Dopo una lenta decadenza tra il secolo XV e il secolo XIX, San Pietro sarebbe stata sconsacrata e venduta a privati nella seconda metà dell'800, a seguito delle leggi di soppressione degli enti ecclesiastici del 1866 - 1867.
Solo in anni recenti è iniziata una lenta opera di recupero dell'edificio, passato nel frattempo in proprietà dell'amministrazione comunale; i primi interventi già hanno messo in luce preziosi affreschi del secolo XII, nei quali paiono evidenti influssi della pittura coeva della regione di Salisburgo.
Chiesa di Santa Marta
Indirizzo | Piazza volontari della libertà
Proseguendo l'itinerario, si incontra la piccola chiesa di Santa Marta.
Di un certo interesse sono, all'esterno, il lato destro e la facciata, che evidenziano nella muratura la tecnica costruttiva cosiddetta "a spina di pesce", con l'utilizzo delle pietre della Sesia, ed il piccolo campanile.
La navata (unica) è rettangolare, ed è scomparsa l'absidiola sulla parete di fondo, che si era mantenuta fino al secolo XVII.
Non regolare è l'orientamento dell'edificio, con l'altare a nord anziché ad est, come avrebbero richiesto i canoni ecclesiastici.
Da notare anche il fatto che posteriormente l'Oratorio di Santa Marta si appoggiava a locali della Confraternita di Santo Spirito, la quale possedeva anche un solaio, adibito a deposito di granaglie.
Questo costituì un ostacolo per la Confraternita di Santa Marta ogniqualvolta essa tentò di ingrandire l'Oratorio. Già nella metà del Seicento la piccola abside era stata abbattuta e sostituita con una cappella quadrangolare più capace, in cui erano collocati anche i sedili per i confratelli.
La volta, le lesene, le cornici interne e la sacrestia della chiesa vennero realizzate nel 1821, mentre il campaniletto e la campana risalgono al 1832.
Nel 1896 e nel 1919 il Comune di Carpignano avanzò richiesta per l'atterramento della chiesa, per ampliare la piazza.
Recentemente l'utilizzo dell'Oratorio di Santa Marta come cappella invernale della chiesa parrocchiale ha determinato l'abbattimento del vecchio altare in muratura dipinto ad imitazione del marmo, e la collocazione, sulla parete di fondo, di un'immagine lignea della Beata Vergine di Caravaggio.
Nei locali retrostanti la chiesa di Santa Marta si trova la sede attuale della Associazione Turistica Pro Loco.
Chiesa Parrocchiale di Santa Maria Assunta (Sec. XVIII)
Indirizzo | Piazza Libertà n.49/A
Partendo dalla Piazza Libertà, punto d'incontro delle tre vie di comunicazione principali, che collegano Carpignano Sesia con Fara Novarese (Via Cavour), Sillavengo (Via Minoretti e Via Dante) e Ghislarengo (Via Roma), si può iniziare la visita dalla Chiesa Parrocchiale di Santa Maria Assunta.
La facciata, recentemente restaurata ed arricchita sulla sommità da un'artistica croce di ferro battuto, occupa, insieme con il campanile, il lato nord della piazza.
La progettazione dell'edificio, risalente al 1710 circa, è attribuita all'architetto e stuccatore Carlo Zaninetti.
In quel periodo la decisione, già meditata da tempo, di ricostruire la chiesa medioevale di Santa Maria Assunta ricevette un decisivo impulso in seguito alla visita del Vescovo G. Battista Visconti, che durante la sua Visita Pastorale decretò l'abbattimento del vetusto edificio e la sua ricostruzione in forme e dimensioni maggiori.
Il progetto è datato 1710, ma i lavori ebbero inizio soltanto nel 1718, probabilmente anche a causa dell'incertezza della popolazione, restia ad assumersi troppo gravosi oneri finanziari e lavorativi.
L'opera giunse a compimento nel 1756, terminato il catino della cupola, mentre la consacrazione solenne avvenne il 20 giugno 1784.
L' interno è costituito da un'aula unica, fiancheggiata da quattro ambienti sormontati ciascuno da un coretto e racchiudenti le due cappelle laterali minori. Prima del presbiterio si aprono altre due cappelle laterali, intersecanti con l'aula in modo da formare una crociera coronata da una cupola semisferica.
Il coro semicircolare conclude il presbitero.
Le dimensioni della chiesa sono le seguenti: lunghezza mt. 40,35, larghezza alla navata con le cappelle mt. 15,36; la volta è alta mt. 19,50, mentre il catino (del diametro di mt. 9,60) misura mt. 27,50 in altezza.
Partendo dal lato destro, la prima cappella contiene un tabernacolo con cornice dorata, all'interno del quale è custodito il crocifisso ligneo, proveniente dall'antica chiesa parrocchiale, che viene esposto durante la Settimana Santa e che veniva in passato portato anche in processione.
La seconda cappella è dedicata al Santo patrono di Carpignano, Sant'Olivo.
L'altare, di particolare bellezza, è impreziosito da un cammeo di marmo bianco.
Sopra l'altare campeggia una tela di notevoli dimensioni, attribuita al milanese Francesco Bianchi, ed eseguita nel 1744, raffigurante il Santo martire in divisa da guerriero romano insieme con S. Carlo Borromeo, San Sebastiano e San Rocco.
Attraverso due entrate ai lati dell'altare si può accedere allo Scurolo, ove sono custodite le reliquie di Sant' Olivo, patrono di Carpignano: alle soglie del Novecento lo scultore Alessandro Gilardi di Campertogno realizzò il simulacro ligneo di Sant'Olivo martire, che fu collocato in un'urna a cristalli posta sull'altare dello scurolo, appena edificato.
Il simulacro del Santo venne rivestito con abiti preziosamente ricamati dalle Suore Orsoline di Scopa.
Lo scurolo è aperto solo due volte l'anno, in occasione della festa del Santo - 25 aprile - e della festa patronale di Santa Croce - seconda domenica di settembre.
La cupola, costruita direttamente sul cornicione anulare, fu completata nell'anno 1756, e la decorazione pittorica del catino venne affidata ad Antonio Orgiazzi; unico affresco realizzato nel secolo XVIII, rappresenta il Trionfo della Croce, sollevata da angeli ed adorata da Sant'Elena, madre dell'imperatore Costantino, cui la leggenda attribuisce il ritrovamento della Santa Croce in Gerusalemme.
La parte più bassa della cupola è occupata da una finta architettura con palchi da cui si affacciano gruppi di putti e quattro finestre cuoriformi.
All'Orgiazzi si deve anche la decorazione dei quattro pennacchi degli archi sotto la cupola, con la rappresentazione delle virtù della Fede, della Purezza, della Religione e della Verginità. Sopra il presbiterio è collocato un imponente baldacchino, in legno scolpito dorato e dipinto, sormontato da elementi floreali e da angeli, e rifinito inferiormente da un ricco festone pendente, opera dello scultore Giuseppe Zaninetti da Crevacuore (1841).
Sulle pareti a lato dell'altare maggiore sono visibili due nicchie chiuse da porticine di legno intagliato di epoca barocca, contenenti un tempo busti con reliquie di santi. Dietro l'altare maggiore è posto un coro ligneo di epoca barocca, finemente intagliato, a due ordini di sedili.
Sopra il coro si trova il dipinto dedicato all'Assunzione della Vergine Maria (mt. 3,50 x 5), opera di Lorenzo Peracino eseguita nel 1752 e recentemente restaurata.
Alle pareti dell'abside sono visibili quattro affreschi del pittore torinese Luigi Morgari (1930 - 31) : da sinistra, rappresentano Le nozze di Cana, La Madonna Immacolata preannunciata dai Profeti, La Pentecoste, La Crocifissione.
Oratorio di San Giuseppe
Indirizzo | Via Roma
Al termine di Via Carducci si esce dalla zona del castello; seguendo sulla sinistra Via Manzoni si giunge ad un incrocio.
Da qui si segue sulla sinistra la Via Roma, per incontrare quasi subito l'Oratorio di San Giuseppe, già cappella privata della famiglia nobile Perego - Pinzio - Lavagetto, proprietaria fra l'altro dell'adiacente edificio, che, legato dall'ultima discendente della famiglia alla Parrocchia, è oggi occupato dalla Casa di Riposo per anziani.
L'Oratorio di San Giuseppe, collocato in posizione leggermente arretrata rispetto alla strada, ha una facciata interamente affrescata con ritratti di Santi.
All'interno come pala d'altare si ammira un affresco ritraente la morte di San Giuseppe: l'Oratorio era infatti dedicato originariamente ai Santi Bartolomeo e Giuseppe agonizzante.
La cornice, anch'essa affrescata sulla parete, presenta un frontone a timpano spezzato in stile barocco.
Fra le due ali del timpano una tabella raffigura la Sacra Famiglia di Nazareth.
La composizione della scena centrale, comprendente più di una decina di personaggi, è molto ben armonicamente distribuita. La potremmo idealmente dividere in tre zone orizzontali e sovrapposte.
Nella zona centrale sono collocate le figure di San Giuseppe agonizzante in un giaciglio, affiancato da Gesù e da Maria.
Dietro il Cristo benedicente, osservano la scena i Santi Antonio da Padova e Francesco d'Assisi; dall'altro lato stanno S. Bartolomeo apostolo e un Santo sacerdote con il giglio in mano, non identificato.
Il Santo agonizzante volge lo sguardo fiducioso alla colomba dello Spirito Santo che scende su di lui ed all'Eterno Padre che assiste alla scena dalle nubi.
Queste ultime figure, unitamente ai Cherubini che le circondano, compongono la sezione più alta dell'affresco.
Nella zona più bassa della composizione sono ritratti due personaggi: il teologo Giovanni Francesco Pinzio (1575 - 1647) e, a destra, il nipote Can. Teologo Bartolomeo Pinzio (1603 - 1662), fondatore dell'Oratorio.
Questi tiene inginocchiato accanto a sè un fanciullo, del quale non si conosce nulla, ma che si può ritenere un altro discendente della famiglia Pinzio.
L'identità dei due prelati, ritratti davanti ai rispettivi Santi patroni, è rivelata da un'iscrizione posta sotto le figure.
L'autore dell'affresco è sconosciuto, ma si ritiene che sia un pittore di origine milanese o, ad ogni modo, attivo nell'area milanese, che presenta notevoli influssi spagnoli, soprattutto nei ritratti.
All'interno dell'Oratorio sono murate due lapidi di interesse storico: la prima si riferisce alla tragica morte di don Francesco Maria Pinzio, di Giulia Caterina Contessa di Ceresara e Marchesa di Maranzana sua moglie e del piccolo figlio Giuseppe.
La seconda lapide è dedicata alla memoria del N.H. Guido Perego di Maranzana, ufficiale del Regio Esercito Italiano, Commendatore Gregoriano e Cameriere di Spada e Cappa di Sua Maestà.
Come si conveniva al decoro di una cappella patrizia, il can. Pinzio vi fece apporre un piccolo organo sulla tribunetta sovrastante la porta principale; lo strumento, però, fu tolto abbastanza presto, infatti nel 1698 la Visita Pastorale di Mons.
Visconti indica la presenza di una finestra sopra la porta maggiore, dove avrebbe dovuto trovare posto l'organo.
Palazzo Comunale
Indirizzo | Piazza Volontari della Libertà
Il Palazzo Comunale (Ex casa Badini - Nasi), di gusto neoclassico, è situato in Piazza Libertà ed è ora sede del Comune.
La tradizione riferisce che la facciata dell'edificio fu progettata da Alessandro Antonelli: non esistono al riguardo dati certi, e anche le ricerche nei competenti archivi hanno dato esito negativo; resta solo il fatto che le caratteristiche architettoniche sono proprie dello stile dell'architetto.
Il palazzo ha ricevuto l'attuale sistemazione alla fine degli anni sessanta.
Dopo essere stato anche sede delle scuole elementari e medie, attualmente è occupato dagli uffici comunali dell'Unione Comuni Bassa Sesia (Carpignano Sesia, Casaleggio Novara, Sillavengo, Mandello Vitta, Castellazzo Novarese, Landiona), dalla biblioteca, dall'ufficio postale e dalla sede del distretto sanitario.
Dal lato destro della chiesa si accede, attraverso un'imponente cancellata in ferro battuto, al Tempietto di sant'Olivo, restaurato nel 1995, ed alle Opere parrocchiali: un piccolo museo lapidario si trova sotto il portico dell'Oratorio San Giovanni Bosco e nel cortile della Casa Parrocchiale; sotto il portico dell'Oratorio sono inoltre visibili tre affreschi a soggetto sacro.
Sono quanto rimane della decorazione della cappella di Sant'Onofrio, demolita nel 1898; i tre affreschi, opera di autore ignoto del XVI secolo, forse della scuola di Gaudenzio Ferrari, rappresentano l'Angelo Gabriele annunciante, la Madonna Assunta ed una figura femminile in adorazione (forse parte di una Natività).
Monumento ai Caduti
Indirizzo | Piazza Volontari della Libertà
Carpignano Sesia riconoscente ricorda ed affida ai venturi i nomi e la gloria dei prodi suoi figli caduti per la Patria nella guerra di redenzione 1915 - 1918